Per un’emergenza sanitaria di cui, varianti imbizzarrite permettendo, potremo presto e molto cautamente parlare al passato, ce n’è un’altra non meno aggressiva che secondo Edo Ronchi incombe all’orizzonte. Si tratta di quella climatica, da porre davanti a tutte le sfide della transizione verde e da contrastare con la massima tempestività, per evitare che a una pandemia sanitaria ne segua a stretto giro una ecologica. «Il riscaldamento globale – avverte il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – sta crescendo pericolosamente e molto rapidamente. Non a caso i governi un po’ in tutto il mondo stanno attivando piani di rilancio dell’economia che puntano ad affrontare anche la crisi climatica in chiave di Green deal. E devo dire che anche a livello di sensibilità generale al tema, mi pare che il Covid abbia contribuito ad aumentarla».

A proposito di Covid, quali strascichi ha lasciato lungo il percorso verso la transizione ecologica tracciato dall’Europa?

«La pandemia ha causato molte vittime, ha sconvolto le nostre vite e colpito pesantemente numerose attività economiche. A me sembra che in questa crisi siano cresciute le preoccupazioni per il nostro futuro, la consapevolezza dell’importanza della solidarietà e delle responsabilità comuni e anche una maggiore attenzione all’ambiente. Da crisi così dure si dovrebbe cercare di imparare qualcosa per uscirne migliori».

 

Il Green deal fissa la rivoluzione energetica tra i pilastri del nuovo paradigma di sviluppo post-Covid. Quanta strada rimane da percorrere in questa direzione?

«Gli scienziati dell’Ipcc, il panel dell’Onu, dicono che per evitare che il riscaldamento globale raggiunga livelli altamente pericolosi è necessario azzerare le emissioni nette di gas serra. Per arrivare a tale risultato è necessario sostituire i combustibili fossili con fonti rinnovabili di energia e impiegare l’energia in modo molto più efficiente, altrimenti il beneficio dell’aumento delle rinnovabili sarebbe annullato dall’aumento dei consumi di energia. In pochi decenni la produzione di energia da fonti rinnovabili è raddoppiata e ha abbattuto i suoi costi. La strada che resta da percorrere per la neutralità climatica rimane però molto impegnativa. Per avere un’idea: dovremo moltiplicare almeno per sei volte la potenza installata all’anno degli impianti per fonti rinnovabili».

Anche il passaggio dal modello di economia lineare a quello circolare è cruciale in questa partita. Che scelte deve fare il nostro Paese per rinnovare il suo ruolo trainante su questo fronte?

«Con un modello lineare di economia, basato sull’alto consumo di risorse e di energia, non è possibile raggiungere la neutralità climatica. L’uso efficiente dei materiali è un fattore di crescente importanza non solo ecologica, ma per la competitività dell’economia del futuro in un mondo con risorse naturali limitate. L’Italia, Paese manifatturiero povero di materia prime che dispone già di un buon livello di riciclo dei rifiuti, deve compiere passi avanti verso un’economia circolare aumentando la durata, la riparabilità, la riutilizzabilità, l’utilizzo condiviso e l’impiego di materiali provenienti dal riciclo nelle produzioni».

 

Da qualche settimana il Pnrr italiano ha incassato il via libera formale dalla Commissione Ue. In cosa la convince dal punto di vista degli investimenti verdi?

«Il Pnrr contiene riforme e investimenti per la transizione ecologica di una dimensione sconosciuta in passato: la riforma dei meccanismi autorizzativi per lo sviluppo delle rinnovabili, dell’agro-voltaico, delle comunità energetiche e dei sistemi di generazione distribuita, dell’eolico offshore e del biometano. Consistente è anche il progetto per lo sviluppo della produzione e dell’impiego dell’idrogeno verde, significativo quello per l’efficienza energetica con l’estensione dell’ecobonus al 2023».

Su quali capitoli invece avrebbe osato di più?

«Sicuramente sulla mobilità urbana sostenibile, dove le somme impegnate sono insufficienti. Nella riforma fiscale sarebbe stato utile inserire anche la revisione dei sussidi dannosi al clima e misure di carbon pricing. Per recuperare i gap di circolarità nei processi di produzione sarebbe stato utile indirizzare sia gli incentivi fiscali di Transizione 4.0, sia i fondi per la ricerca e l’innovazione tecnologica stanziati dal Piano».

La prossima edizione di Ecomondo precederà di pochi giorni il Cop26 di Glasgow sul climate change. A quale contenuti darete risalto e quali chiavi di lettura fornirete sul tema in vista di questo cruciale vertice?

«Il tema centrale degli Stati generali della green economy che si terranno a Ecomondo quest’anno sarà il ruolo della digitalizzazione nella transizione ecologica, cercando di evidenziare quanto sia riduttivo tenerli separati nel Green deal e quali sinergie si dovrebbero invece promuovere. L’Italia, al centro del Mediterraneo, è il Paese europeo più esposto ai rischi più gravi e sconvolgenti della crisi climatica. Cercheremo di contribuire ad aumentare l’attenzione su questo tema cruciale che invece in Italia continua a essere sottovalutato, mettendo in risalto le ricadute economiche e occupazionali positive delle misure incisive e avanzate per la neutralità climatica».