Non ci può essere lavoro senza impresa, e non ci può essere impresa senza lavoro. Sull’indissolubilità di questo binomio si fonda il progetto Competere, il grande disegno realizzato da Federmeccanica per guidare questa fase di cambiamento senza subirla, proiettando il settore nella Quarta rivoluzione industriale. Strutturato in due grandi capitoli, uno dedicato al nuovo lavoro e l’altro alla nuova impresa, il progetto è stato svelato a metà settembre durante la presentazione della 159esima indagine congiunturale, che ha fotografato l’ottimo momento per l’attività metalmeccanica. Sugli scudi in particolare da aprile a giugno, trimestre in cui i dati del Centro studi di Federmeccanica confermano il riaggancio integrale ai volumi di produzione pre-pandemici. «Siamo in una congiuntura favorevole – ammette il presidente Federico Visentin – all’interno comunque di una fase di ricostruzione che necessita di progettualità. Sia con misure di lungo respiro come le politiche industriali utili per gestire la transizione tecnologica ed ecologica, sia con interventi in grado di produrre effetti nell’immediato, come gli incentivi per il 4.0 e le azioni da mettere in campo per la carenza (e l’eccessivo costo) delle materie prime».

 

MERCATO DEL LAVORO E CUNEO FISCALE I NODI PRIORITARI

Punti essenziali che nel progetto Competere diventano capisaldi di una ricetta di rinnovamento focalizzata innanzitutto sulla risoluzione delle criticità legate al mercato del lavoro. Da rilanciare secondo Federmeccanica restituendo centralità all’occupazione giovanile, potenziando l’apprendistato, investendo sui dottorati industriali per trattenere i talenti migliori e, ancora, ampliando la flessibilità in entrata e prevedendo incentivi per l’assunzione di donne. «Progettare il nuovo lavoro – aggiunge Visentin – significa anche intervenire in maniera decisa su problemi che da troppo tempo ci portiamo dietro come il cuneo fiscale, che va abbattuto. Al contempo occorre creare e riqualificare le competenze che serviranno alle imprese nel futuro, perché la crescita di qualsiasi sistema dipende dalla sua competitività». L’unica strada sicura, secondo il numero uno di Federmeccanica, per alimentare le prospettive favorevoli che la congiunturale delinea sul breve termine. Stimando ulteriori recuperi produttivi estesi a tutto l’aggregato industriale, con il 47 per cento delle imprese che dichiara un portafoglio ordini in miglioramento. In questo senso, il secondo pilastro del progetto Competere riguarda la costruzione di un nuovo modello d’impresa, per attrezzare il nostro tessuto metalmeccanico/meccatronico all’esame della crescita. Un’impresa dal profilo più globale, resiliente, più matura dal punto di vista digitale e con un’attenzione alla sostenibilità, non solo ambientale. «È un approccio che le imprese stanno imparando a conoscere – afferma Visentin – e che grazie agli obiettivi dell’Agenda 2030 diventerà un requisito indispensabile per competere e garantire di conseguenza la redditività. L’importante però è che la sostenibilità venga inserita in una revisione dell’intero sistema aziendale che coinvolga la governance, le persone e il territorio, altrimenti rischia di essere assimilata a un’operazione di greenwashing».

LA SOSTENIBILITÀ DELLA NUOVA IMPRESA È ANCHE SOCIALE

L’interesse del mondo manifatturiero, tuttavia, è che in futuro questo processo di transizione a più livelli trovi ad accoglierlo un ecosistema in grado di liberarne il potenziale in termini di digitalizzazione, efficienza delle risorse e performance green. Sfide poste al centro anche del paradigma di sviluppo in 10 punti proposto da Ceemet, voce dell’industria metalmeccanica e ingegneristica presso le istituzioni europee. Basato su un approccio sociale che include anche aspetti quali il cambiamento demografico e la migrazione, il decalogo richiama l’attenzione dell’Ue su temi cardine come l’unità e la sussidiarietà tra gli Stati membri, l’importanza della competitività internazionale dell’industria e l’adeguamento dell’istruzione e della formazione professionale alla domanda. «Non possiamo essere solo i terzisti delle grandi catene del valore tedesche e francesi – incalza Visentin – e neppure produrre marginalità così risicate da non avere i soldi per pagare adeguatamente i giovani. Allo stesso tempo però non possiamo attingere solo dalle università e riempire le aziende di camici bianchi, dimenticando che abbiamo anche un problema di manodopera meno qualificata. Servono ancora tornitori e fresatori perché le fabbriche totalmente automatiche costano troppo e nessuno al mondo può permettersele». Altri punti ritenuti cruciali dal manifesto di Ceemet riguardano la flessibilità del mercato del lavoro in chiave sempre più smart, i nuovi sistemi di contrattazione industriale con le parti sociali, gli investimenti tecnologici, la definizione di accordi commerciali che permettano alle aziende europee di tenersi agganciate alle catene di fornitura globali e, non ultimo, il coinvolgimento costante del mondo dell’industria nelle scelte strategiche dei decisori politici.